Una volta era “esaurimento nervoso”. Poi è diventata “tristezza patologica”, “male di vivere”, “male oscuro”. Il termine depressione ha ancora un forte stigma, un alone di impronunciabilità: meno di “cancro”, ma ce l’ha. La depressione fa parte dei disturbi dell’umore insieme ad altre patologie come la mania e il disturbo bipolare.
Essa può assumere la forma di un singolo episodio transitorio (si parlerà quindi di episodio depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (si parlerà quindi di disturbo depressivo). L’episodio o il disturbo depressivo sono a loro volta caratterizzati da una maggiore o minore gravità.
Quando i sintomi sono tali da compromettere l’adattamento sociale si parlerà di disturbo depressivo maggiore in modo da distinguerlo da depressione minori che non hanno gravi conseguenze, e spesso sono normali reazioni ad eventi luttuosi.
Chi ne viene colpito?
Un’indagine europea traccia l’identikit di chi è colpito più spesso dal “male oscuro”. Le donne sono circa il doppio degli uomini e la diagnosi viene fatta sempre più presto. La mancanza di lavoro e lo stress da superlavoro diventano due fra le maggiori cause, l’età di insorgenza della patologia si abbassa.
Un ritratto abbastanza calzante di chi soffre di depressione in Italia, almeno stando ai risultati di un indagine su oltre settemila italiani che ha coinvolto 57 mila europei anche in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, sono: giovani, depressi e disoccupati o superlavoratori, più spesso donne.
Lo scopo è tracciare l’identikit della malattia oggi, cercando di capire come vivono i pazienti, quali problemi affrontano più spesso sul lavoro o nella vita quotidiana, quali disturbi si accompagnano alla depressione.
Innanzitutto, si scopre che un italiano su dieci ha convissuto con il “male oscuro” negli ultimi dodici mesi e come dato non è molto diverso da quelli registrati negli ultimi anni.
Quindi, possiamo tirare un sospiro di sollievo: la depressione non è in aumento come si sospettava. Semmai la conosciamo molto meglio che nel passato cioè ci accorgiamo di casi che prima rimanevano nell’ombra.
Le condizioni che portano alla depressione
La nostra società è molto competitiva e quindi chiede “prestazioni” sempre maggiori e questa pressione fa emergere anche i quadri depressivi più lievi, ad esempio chi fa spesso gli straordinari lavorando 11 ore al giorno, ha una probabilità due volte maggiore di ammalarsi.
Infatti, come abbiamo già detto le donne hanno un rischio doppio di depressione grave, rispetto agli uomini. Le donne sono più esposte a fattori stressogeni: per loro mantenere un lavoro ed un reddito è più complicato, come la gestione del tempo è difficile, visto che sono molte di più le ore di lavoro domestico e cura della famiglia sulle sue spalle. Inoltre le donne sono più spesso vittime di violenze in ambito domestico e non, e questo è uno dei fattori “ambientali” che più incidono sul rischio di ammalarsi di depressione; comunque l’età di esordio della malattia si sta abbassando a volte al di sotto dei 20 anni, probabilmente a causa delle sostanze di abuso, come alcol o droghe.
Nelle persone depresse si nota un evidente difficoltà sul lavoro e nelle relazioni sociali, inoltre hanno più raramente un posto a tempo pieno, sono più spesso in cerca di un’occupazione e in un caso su tre denunciano un reddito basso. Chi invece un impiego ce l’ha è costretto ad assentarsi di frequente per colpa della malattia, va in ufficio ma senza combinare granché: come conseguenza si ha un calo della produttività consistente, rispetto a chi non deve fare i conti con un disturbo dell’umore.
I depressi sono inoltre più spesso single, divorziati, separati o vedovi.
Dobbiamo considerare la depressione come una malattia sistemica e biologica, che coinvolge più apparati e spesso è solo una faccia di un complesso “squilibrio” dell’organismo. La depressione deve essere considerata una patologia come le altre, che con altre malattie è spesso strettamente connessa e come loro deve essere riconosciuta e curata, senza paura e vergogna.
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